Rinaldi contro tutti

 



 

Una degustazione epica, che si apre con lo champagne di una giovanissima maison, seguito da tre Langhe nebbiolo di ‘esordienti’ o quasi: il Nebiulin 2019 di Le More Bianche, il Langhe Nebbiolo 2019 di Stefano Occhetti, e il Langhe Nebbiolo 2019 di Paolo Giordano. Tre vini tra loro molto diversi, ma che servono a stabilire la linea di galleggiamento rispetto alla quale avrà luogo la degustazione vera e propria.

 


 

ECP Alain Edouard Blanc de Blanc Extra Brut, solo da uve annata 2018. Citrico e fresco al naso, molto gessoso nell’attacco in bocca. All’inizio molto chiuso, si distende subito nel bicchiere con note di mandarino. Si espande poi anche in bocca, proponendo un bell’allungo sapido. Un produttore di cui sentiremo parlare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Nebiulin, al solito, ha stregato tutti per la sua capacità di beva: immediato e complesso al tempo stesso, con al naso le note di china tipiche del Roero, e un tannino levigato come tessuto, anch’esso tipico dei terreni sabbiosi di queste zone.

Il Nebbiolo di Occhetti presenta una struttura leggermente più complessa. Forse meno espressivo in questo momento, e con un’ambizione di gittata maggiore, forse non perfettamente realizzata. Ma è solo la seconda annata prodotta, il ragazzo, che ha 32 anni, si farà.

Il Nebbiolo di Giordano marca vigorosamente lo stacco di terroir. Qui siamo a Castiglione Falletto, il naso è tutto giocato sui piccoli frutti scuri, con quella bella austerità tipica di Castiglione e Perno, e un tannino vibrante e austero che non infastidisce, ma ti ricorda prepotentemente dove siamo, e qual è la vocazione del nebbiolo.

 

 

Questi tre vini pongono la barra qualitativa così in alto che la differenza con i ‘big’ della degustazione vera e propria si ridurrà spesso ad una vittoria di misura.

 

E veniamo alla degustazione.

La formula prevedeva cinque batterie: per ciascuna annata, una bottiglia di Langhe Nebbiolo di Giuseppe Rinaldi, e una di un Langhe Nebbiolo stessa annata di uno ‘sfidante’. Tutti alla cieca

 

Ecco dunque le batterie e i giudizi.

 

2018: Giuseppe Rinaldi vs. Bartolo Mascarello. Qui il giudizio è stato netto e impietoso. Rinaldi batte Mascarello 8 a 2. Essendo tra quelli che hanno votato in minoranza mi permetto un minority report: Mascarello presenta un naso più fine, delicato, quasi sussurrato, ma in bocca è oggettivamente un po’ corto. Rinaldi ha più materia, maggiore dinamismo. Al mio gusto alla fine è un po’ stancante, quasi ripetitivo nelle sue note di china, erbe officinali, cola. Un marchio di fabbrica che ritroveremo in tutte le batterie. Resta che 8 su 10 lo hanno preferito.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

2017: Giuseppe Rinaldi vs. Elio Sandri. Qui i giudizi si ribaltano: siamo 10 a 0 per Sandri. Malgrado una nota leggermente alcolica al naso, Sandri convince in assoluto per una complessità gustativa stratosferica: lungo, sapido, minerale. Belllissimo. Nessuno ha avuto dubbi.

 

 

 

 

 

 

 


 

2016: Giuseppe Rinaldi vs. Giuseppe Mascarello. Strana competizione questa, vinta di misura da Mascarello, ma senza grande entusiasmo. Rinaldi decisamente chiuso, Mascarello tutto in un superficiale display, indiscutibilmente buono ma un po’ finto, come artefatto. Buoni entrambi, ma i commensali hanno unanimemente rimpianto la bellezza della 2017. Più complessa, più intensa, più nebbioleggiante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

2015: Giuseppe Rinaldi vs. Giovanni Canonica. Rinaldi non bevibile causa tappo. Canonica ha sorpreso tutti per eleganza e distensione. Con Sandri, uno dei vini che hanno fatto l’unanimità. In sostituzione di Rinaldi, il Langhe Nebbiolo 2015 di Erik Bondonio. Vino più austero, lungo, profondo e cupo, ma di grande personalità. Forse poco valorizzato dal ruolo di ‘sostituto’, ma di grande valore. A questo punto abbiamo smesso di votare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2013: Giuseppe Rinaldi vs. Barbaresco Cascina Roccalini. Nessuno dei due vini era probabilmente al meglio di sé, anche se Roccalini ha poi sfoderato una marcia in più nel bicchiere. Più cristallino, più autenticamente nebbiolo, con quella trama di fruttini rossi tipica di Barbaresco quando è al suo meglio. Un confronto interessante per vedere come, al di là delle denominazioni, il nebbiolo evolve nel tempo, poco importa quanto abbia soggiornato in botte o bottiglia.

 

 

 

 

 Alcune riflessioni a margine di una degustazione intensa e divertente:

1. Rinaldi ha uno stile inconfondibile, nel bene e nel male lo riconosci sempre. Se vuoi giocare a ‘riconosci il produttore’, porta una bottiglia di Rinaldi, farai bella figura.

2. I giudizi dei critici sulle annate valgono quello che valgono, cioè poco: la 2016 è chiusa e chissà quando si aprirà, la 2017 dà grande e intensa soddisfazione. La 2018 bella, piaciuta a tutti, pronta e immediata. E non dovrebbe essere un difetto.

3. Il modesto differenziale qualitativo tra i vini dei giovani della prima batteria e quelli dei produttori consacrati ha sorpreso tutti. È confortante constatare che nonostante gli aumenti costanti dei prezzi, con un po’ di impegno nella ricerca si riesce ancora a bere straordinariamente bene per cifre sotto i 20 euro alla bottiglia.

4. Il nebbiolo invecchia bene, anche nella versione ‘Langhe Nebbiolo’. Ma questo lo sapevamo già.

 

 

* Degustazione effettuata il 23 aprile 2022

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